🇨🇭 L'inquietante Portovenere di Philippe Jaccottet
Portovenere (da L’Effraie – Gallimard, 1953)
Effraie, effroi. Spaventa, terrore.
Agli inizi della sua produzione, la raccolta di poemi, composti fra il 1946 e il 1950, è attraversata dal richiamo della paura, in una notte d’estate!.
La poesia della raccolta che ci riguarda da vicino si intitola « Portovenere » e ce l’ha fatta scoprire la Prof.ssa Ida Merello in una sua interessante conferenza.
Portovenere
La mer est de nouveau obscure. Tu comprends,
c’est la dernière nuit. Mais qui vais-je appelant ?
Hors l’écho, je ne parle à personne, à personne.
Où s’écroulent les rocs, la mer est noire, et tonne
dans sa cloche de pluie. Une chauve-souris
cogne aux barreaux de l’air d’un vol comme surpris,
tous ces jours sont perdus, déchirés par ses ailes
noires, la majesté de ces eaux trop fidèles
me laisse froid, puisque je ne parle toujours
ni à toi, ni à rien. Qu’ils sombrent, ces « beaux jours »!
Je pars, je continue à vieillir, peu m’importe,
sur qui s’en va la mer saura claquer la porte.
Portovenere (traduzione di Fabio Pusterla)
Di nuovo cupo il mare. Tu capisci,
è l’ultima notte. Ma chi chiamo ? A nessuno
parlo, all’infuori dell’eco, a nessuno.
Dove strapiomba la roccia il mare è nero, e rimbomba
in una campana di pioggia. Un pipistrello
urta come stupito sbarre d’aria,
e tutti questi giorni sono persi, lacerati
dalle sue ali nere, a questa gloria
d’acque fedeli resto indifferente,
se ancora non parlo né a te né a niente. Svaniscano
questi « bei giorni »! Parto, invecchio, che importa,
il mare dietro a chi va sbatte la porta.
Un senso di angoscia affiora da questi versi del poeta francofono Philippe Jaccottet.
Fabio Pusterla, critico e traduttore del poeta svizzero scrive: Philippe Jaccottet è uno dei più importanti poeti europei contemporanei. Lo leggo e lo traduco da moltissimo tempo, eppure ancora oggi quando rileggo la poesia Portovenere provo un brivido.
Poi continua: Questa è, a mio avviso, una delle poesie più belle e più intense di Philippe Jaccottet; e anche uno dei tentativi di traduzione che mi sembrano meno insoddisfacenti.
Sempre dalle parole di Fabio Pusterla: Uno scenario particolare, già annunciato dal titolo: siamo in un luogo di grande e per così dire ufficiale bellezza, Portovenere, dove i grandi poeti inglesi dell’Ottocento come Byron amavano soggiornare, e questa bellezza imponente, proprio come il mare in tempesta e la violenza degli elementi, sono per l’io ancora più insopportabili nella loro indifferenza…
Jaccottet è a Portovenere e non fa altro che “allenare stupidamente la malinconia, senza vedere granché o per lo meno senza imparare a vederlo”, come dice lui stesso.
Non ci sono testimonianze che l’autore abbia visto con i propri occhi Portovenere, che sia venuto qui di persona. Ho cercato nelle biografie, ho chiesto ma non è emersa nessuna certezza di una sua permanenza nel nostro golfo. Eppure… sembra impossibile che una poesia così forte sia stata scritta “in differita”!
Una poesia che si sforza di trovare una relazione con la natura e il mondo, cercando di mantenere l’emozione di fronte alle cose “viste”.
Mi rifiuto di fare del viaggio una specie di pellegrinaggio, giudicando che le cose non sono date che quando le si cerca, più che quando ci si distoglie da esse. (Philippe Jaccottet- Attraverso un frutteto).
Deve essere venuto per forza dalle nostre parti! Deve aver visto Portovenere in una serata oscura!
Philippe Jaccottet, scrittore, poeta, traduttore e critico letterario svizzero di lingua francese, nasce a Moudon nel 1925, si laurea in lettere all’Università di Losanna, poi va a vivere a Parigi.
Ha già terminato un piccolo libro di poesie, s’intitola L’Effraie, non dovrebbe mancare troppo alla sua pubblicazione.
È il 3 luglio del 1953 e Philippe Jaccottet, poeta, sta per esordire presso le Edizioni Gallimard. Proprio quell’anno sposa una pittrice, Anne-Marie Haesler, e i due si stabiliscono nella campagna del sud della Francia, a Grignan, in Provenza, per scrivere e dipingere, fino alla morte di Jaccottet nel febbraio 2021.
Jaccottet ama le lunghe camminate; nelle fotografie pare alto, il viso di chi ama la solitudine e conosce la natura … sorride.
In una pagina dei Carnets il poeta scrive quello che potrebbe essere il suo epitaffio:
L’essenziale vorrei fosse riassunto in una frase come questa: ‘Erba vista contro luce, che sorge, poco fitta, sottile e diritta: quasi un filtro, un’arpa… vicinissima alla terra, ecco la mia lira definitiva. Per far sentire la luce della sera, dorata, sotto le folate folli del vento freddo.
Aveva tradotto in francese dal greco l’Odissea, dal tedesco Goethe, Hölderlin, Rilke e l’opera omnia di Robert Musil, dall’italiano Leopardi, Carlo Cassola, Giuseppe Ungaretti, Giovanni Raboni e dallo spagnolo Góngora.
Più volte candidato al Premio Nobel per la letteratura per il suo lirismo, aveva vinto il Premio Goncourt per la Poesia nel 2003.
Aveva un rapporto privilegiato con Giuseppe Ungaretti, conosciuto nel 1946, ce ne dà testimonianza la Correspondance (1946-1970).
I viaggi sono stati per me fondamentali fin dall’inizio: penso al primo viaggio in Italia, nel 1946, l’incontro con Ungaretti. Ma è vero che non sempre i viaggi si depositavano direttamente nella mia poesia. Forse perché, come giovane poeta, sdegnavo l’idea di prendere appunti in viaggio, trovandola un’attività troppo giornalistica. E siccome godo di poca memoria, ho dimenticato molte cose di questi primi viaggi.
Però non dimentica Portovenere!
La raccolta “L’effraie“, di cui “Portovenere” fa parte, a differenza di altre sue opere, é fortemente autobiografica, rievoca la vita spensierata dell’autore con Michelle, in Italia, una storia che però finirà male. L’ultima bella serata prima della separazione definitiva. Vi si evoca la morte di Michelle, la natura in cui lui confida e la sua visione del mondo. Ma l’opera può anche rappresentare la fine di una vita, la sua, un’ esistenza effimera come acqua che scompare nella fessura di una roccia.
“Portovenere” è l’immagine di un “luogo di villeggiatura” che la felicità perduta trasforma in luogo di esilio, di solitudine e in cui il paesaggio diventa “stato d’animo”.
Il pipistrello di Portovenere, viene da lontano; le sue ali nere si agitavano già nell’ultimo, celebre Spleen baudelairiano, dal quale giungono del resto fino a noi anche altri echi: l’ambientazione notturna per esempio, con la grotta di Byron dove ribollono le onde e s’écroulent les rocs, a ricordare il cachot humide di Baudelaire; e poi le citazioni, come le immagini delle sbarre- barreaux o della campana- cloche.
C’è poi l’insistenza sulle rime “squillanti” che in Jaccottet uniscono nuit – chauve-souris – pluie – surpris, il rintocco dei due ni e il cigolio del verbo conclusivo vieillir, mentre in Baudelaire si snodava un’impressionante catena di: esprit – ennuis – nuits – humide – chauve-souris – timide – pourris – pluie – furie – patrie …
Il sonetto di Baudelaire si delinea chiaramente dietro i versi di Jaccottet in Portovenere.
A questo proposito, Fabio Pusterla, traduttore privilegiato del poeta, raccontava di aver inviato in visione a Jaccottet un proprio saggio: “Camminando su una collina. Omaggio a Jaccottet – Riflessioni sulla poesia di Jaccottet”, in cui rifletteva appunto sul lascito baudelairiano nella poesia di Jaccottet. Ma di aver ricevuto dal poeta, insieme ai doverosi ringraziamenti, una risposta tranchante, inattesa e del tutto imprevista: “… jamais pensé à Baudelaire”.
Forse la frase non si riferiva direttamente alla poesia in questione, forse era da interpretare in modo più ampio. Del resto non è detto che le ipotesi del critico e i pensieri dell’autore debbano sempre necessariamente coincidere. Così come non è detto che l’autore si sia riferito coscientemente a un ben preciso modello di riferimento ( Les Fleurs du mal di Baudelaire). Magari il pipistrello di Baudelaire volava su Portovenere indipendentemente dal pensiero cosciente dell’autore!
Il rapporto di Jaccottet coll’indiscusso maestro sarebbe dunque quasi inevitabile ma non necessariamente lineare. Si tratterebbe di una “risonanza”: un modello molto forte quello di Baudelaire da cui Jaccottet ha cercato di emanciparsi pur rimanendone per sempre debitore, come lui stesso scrive in una riflessione del settembre 1998: “Je ne suis jamais guéri complètement de la “mélodicité” dont m’avaient imprégné mes admirations les plus vives: Baudelaire, Mallarmé, Verlaine – et même Claudel.” (Carnets 1980-1998)
@ Annalisa Tacoli
BIbliografia:
F. Pusterla – Portovenere – Università della Svizzera Italiana
I. Merello – A. Schellino, Baudelaire , due secoli di creazione, Genova, Accademia Ligure di Scienze e Lettere, 2021