🇫🇷 Hyacinthe Boucher de Morlaincourt

E meno male che arrivarono il Generale Inverno e Waterloo, altrimenti chissà come sarebbe andata a finire!
Di cosa stiamo parlando? Per capirlo, occorre sfogliare a ritroso le pagine del calendario e scendere al maggio del 1808 allorché, travolto da un insolito destino nell’azzurro mare del futuro Golfo dei poeti, Napoleone Bonaparte confessò tutta la sua morbosa passione per la Spezia e, soprattutto, per la sua baia. Autoincoronatosi imperatore dei francesi e re d’Italia – e annessa la Liguria all’Empire – stufo di vedere i vascelli inglesi scorrazzare indisturbati davanti alle coste franco-italo-iberiche bloccando le sue navi agli ormeggi nei porti, il Grande Còrso annunciò urbi et orbi di avere deciso di trasformare il Golfo della Spezia in un’altra Tolone, costruendovi un ciclopico arsenale, sicuro che così facendo sarebbe riuscito a conquistare il dominio dei mari. “Questo golfo della Spezia è davvero meraviglioso sotto tutti i punti di vista», diceva ai suoi fedelissimi, esortandoli a fare il massimo per la riuscita dell’impresa. E per dare l’esempio, comprava lui stesso intere foreste in Toscana per procurarsi il legno occorrente per i cantieri e gli stabilimenti navali.
Insomma, gliel’avrebbe fatta vedere lui a quelli della perfida Albione!

L’arsenale doveva trovare posto nell’insenatura del Varignano, ben protetto dalla fortezza di Santa Maria, una delle più possenti del Mediterraneo, e dai fortilizi ch’egli intendeva fare realizzare sulla Castellana e sulle alture da Portovenere a Punta Bianca in modo da creare una cortina di ferro e di fuoco invalicabile per possibili nemici. Inoltre, il complesso di edifici del lazzaretto situato sul promontorio più interno era l’ideale per sistemarvi uffici, caserme e magazzini. Nei piani dell’Empereur c’era anche una bella città, popolata dai militari e dalle maestranze della base navale, da edificarsi nella Cala dei Còrsi, o della Castagna, con giardini, teatri, fontane e monumenti, grande quanto bastava per ospitare diecimila persone. Tutta l’impresa doveva venire a costare sui venti milioni di franchi, soldi che lui non aveva, ammetteva candidamente il duce supremo.
Comunque, soldi o non soldi, emanati i decreti relativi Napoleone spedì alla Spezia plotoni di tecnici, ammiragli, generali, ingegneri, geologi e alti burocrati. E per andare sul sicuro vi inviò pure, perché controllasse l’andamento dei lavori, suo cognato principe Camillo Borghese, governatore degli Stati d’oltralpe. Di quelle opere sono rimaste le strade per Portovenere (non a caso detta ancora oggi “Napoleonica”), per Sarzana e per la Cisa.

Hyacinthe Boucher de Morlaincourt (1758 – 1831)

Ma che c’entravano in tutto questo Waterloo e il Generale Inverno, inteso come inverno russo, causa prima della disfatta napoleonica nella terra degli zar?
C’entrano, poiché fra tutti coloro che il Bonaparte aveva spedito in avanscoperta alla Spezia per valutare la fattibilità di alcune idee del Gran Capo, c’era anche il colonnello ingegnere Hyacinthe Boucher de Morlaincourt, direttore delle fortificazioni della 18ª Divisione di Genova, un personaggio che, se le cose fossero andate in un certo modo, avrebbe potuto lasciare un’impronta indelebile – e non certo da standing ovation – nella storia della città e del golfo.
Nel suo Mémoire sur le golphe de la Spezia, dopo avere descritto con minuzia di particolari l’ambiente da favola che lo circondava, il colonnello passava infatti all’aspetto che più lo interessava: quello militare.
In una puntigliosa analisi delle difese costiere, de Morlaincourt spiegava che Portovenere disponeva di tre postazioni di artiglieria. Quella del castello non valeva niente perché aveva una battuta assai limitata. La seconda, costituita da tre piccoli pezzi collocati nel giardino del seicentesco convento di San Francesco (demolito negli anni Settanta del ’900 e sostituito da un albergo e dal Municipio), era in grado di coprire solamente lo specchio di mare prospiciente il paese, tuttavia, poteva essere rimpiazzata senza problemi dalla terza, quella di punta San Pietro

Lì, spiegava l’ingegnere, c’erano solo due cannoni il cui compito principale era di tenere a bada i corsari che ogni tanto azzardavano qualche incursione lungo la riviera; ma per fare di quella batteria il punto di forza del sistema difensivo litoraneo, sia dello stretto fra San Pietro e Palmaria, sia dell’area antistante la scogliera delle Rosse, sia del canale di Portovenere, era sufficiente spianare la chiesa, in rovina e abbandonata, e sistemarvi altri cannoni. Non male come trovata, no? Ce lo vedete il borgo di Portovenere senza la chiesetta, oggi patrimonio dell’umanità?
Ma il vulcanico colonnello – che fosse afflitto dalla sindrome di Stendhal? – non si fermava a quel capolavoro. Aveva anzi altre idee che gli ronzavano nel cervello, idee che, se tradotte in pratica, avrebbero stravolto alcuni dei più suggestivi angoli del golfo.

La prima riguardava la fortezza di Santa Maria, che era situata sulla punta del promontorio posto tra le cale del Varignano e della Castagna. Orbene, per rafforzarne le difese l’ingegnere suggeriva di tagliare l’istmo nel punto più vicino alla linea di costa in modo da ricavarne da un lato un vallo che ostacolasse un assalto nemico, e dall’altro un canale che mettesse in comunicazione i due seni facilitando in tal modo lo spostamento delle navi.

La seconda idea concerneva le batterie della Torre Scola e di Maralunga, l’una da ricostruire perché distrutta dagli inglesi il 23 giugno del 1800, l’altra da edificare ex novo, alle quali demandare il compito di coprire in prima battuta l’accesso al golfo, perché a chi fosse riuscito a passare ci avrebbero poi pensato le artiglierie di Santa Teresa e di Santa Maria. Purtroppo, Torre Scola e Maralunga distavano fra loro più di 4.000 metri, troppi per incrociare i tiri con sufficienti probabilità di centrare il bersaglio. Perciò de Morlaincourt suggeriva di realizzare a metà strada fra di esse un grande scoglio sul tipo della stessa Torre Scola e lì sopra installarvi un numero adeguato di bocche da fuoco. Un progetto forse un po’ troppo impegnativo dal punto di vista finanziario, riconosceva lo stesso Hyacinthe, dal momento che nella zona c’era un fondale di una quindicina metri, nondimeno i vantaggi, ai fini della protezione del golfo, sarebbero stati importanti. A ben vedere, il gioco poteva valere la candela.

In alternativa, volendo risparmiare, si sarebbe potuto creare soltanto un’isola artificiale di discrete dimensioni colando sul fondo, al centro dell’imboccatura della rada, enormi quantità di massi e materiali vari in modo da costringere eventuali vascelli nemici a passarvi a dritta o a manca, manovra che li avrebbe portati sotto i tiri di Torre Scola o di Maralunga. Oppure: piazzare nello stesso punto, al centro dell’imboccatura del golfo, una potente batteria su piattaforma galleggiante tenuta ben salda da un adeguato ancoraggio, altrimenti i tiri sarebbero risultati troppo imprecisi. Con una protezione del genere, asseriva il colonnello, nessun nemico avrebbe mai potuto violare il Golfo della Spezia.
Infine, ciliegina sulla torta, ecco i fuochi artificiali finali firmati sempre da de Morlaincourt. Secondo lui sarebbe stato opportuno erigere lungo tutta la riva del golfo un baluardo in terra battuta, munito di palizzata e di camminamenti coperti, in modo da contrastare sbarchi di soldati dal mare. Il litorale da Lerici al Varignano doveva pertanto essere trasformato in un unico bastione munito di artiglierie e di una agguerrita guarnigione. Come dire, addio Golfo dei poeti!
Si capirebbe dunque perché noi spezzini dovremmo ringraziare di tutto cuore il Generale Inverno per avere alla fine condotto il Bonaparte nella piana di Waterloo salvando quantomeno la chiesetta di San Pietro.
A devastare il resto del Golfo ci avrebbero poi pensato i posteri!

@ Gino Ragnetti

Fonti bibliografiche: G.Ragnetti, Allons enfants. Spezia francese, Youcanprint 2017 – L.Rossi, Ingegneri militari francesi nel Golfo della Spezia. Il Mémoire di H.Boucher de Morlaincourt, in “Annali delle Biblioteche e dei Musei Civici della Spezia”, La Spezia-Istituzione Servizi Culturali, 2000, pp. 169-211.

🇫🇷 “PERCORSI” – Hyacinthe Boucher de Morlaincourt