🇫🇷 La Modification: scorci della Riviera di Levante
Il 1957 è l’anno d’oro del Nouveau Roman. In quell’anno infatti vengono pubblicate le opere più esemplificative della nuova scrittura : La Jalousie di Alain Robbe-Grillet, Tropismes di Natalie Sarraute, Le vent di Claude Simon e La Modification di Michel Butor che otterrà il Prix Renaudot.
La Modification si basa su una narrazione scarna, quasi banale.
Si tratta di un viaggio in treno, agli inizi degli anni ’50, 21 ore di viaggio da Parigi-Gare de Lyon a Roma Termini. Un percorso scandito dalla velocità del treno “rapido”, segnato dall’alternarsi di visi anonimi, dalla routine dei treni a lunga percorrenza, dalle comodità della prima classe o dalle ristrettezze della terza classe economica e popolare.
Léon Delmont osserva la vita scorrere, convinto di aver preso la decisione che gli cambierà la vita: lasciare la vita coniugale banalmente opaca di Parigi per raggiungere Cécile (“votre dernière chance de rajeunir”) a Roma. Durane le 21 ore di viaggio non c’è scambio né interazione, tutto avviene in un monologo interiore che rievoca alternativamente gli incontri con Cécile in una Roma luminosa e vitale e gli scambi stereotipati della routine familiare in una Parigi cupa, autunnale.
In questa dimensione intima Butor coinvolge il lettore, l’alter ego di Léon Delmont, “vous” sostituisce “je” o “moi” in una sorta di sdoppiamento nel quale Léon guarda se stesso maturare una decisione che alla fine non si realizzerà. La “modification” tanto agognata resterà un’ ipotesi, un atto di coraggio che Delmont non saprà compiere.
E mentre la modification, che sarà in realtà una conferma dello statu quo, si avvicina , lo sguardo fotografa le immagini che scorrono veloci sullo schermo del finestrino.
“passe la gare de …” , un intercalare ritmato sulla velocità del treno, segna l’avanzare del viaggio, i luoghi appaiono per un attimo e subito fuggono, ma sono dettagli che ci raccontano l’Italia del dopoguerra quando, per esempio la stazione di Torino era ancora “Torino Piazza Nazionale” e la nuova Stazione Termini sembrava annunciare per la sua architettura innovativa un mondo nuovo.
In questo percorso ferroviario di cui Delmont snocciola le fermate, appaiono scorci brevissimi di Liguria che rimandano anche ad altri viaggi e che il protagonista registra meccanicamente perso com’è nella sua meditazione.
“… Vous approchez de Gênes; il va y voir un long tunnel, puis ce sera la Stazione Principe. […] Voici la pleine ville, le port à votre droite avec des bateaux tous hublots allumés, le fameux phare, les quais, d’autres trains”;
“A la sortie du roc, à Gênes, vous avez regardé les bateaux dans le port avec leurs canots blancs, avec ces éclats dans leurs vitres rivalisant avec ceux des vagues douces, et le haut phare dont l’ombre éteignait un instant les mouettes.”
“entre les promontoires et les villas, un triangle de mer apparaissant soudain avec une éclatante voile , quelques fleurs encore dans les jardins,
à La Spezia les navires gris s’allongeaient sur l’eau verte.”
Come queste citazioni evidenziano, il paesaggio non porta alcun significato, non suscita emozioni, non è in alcun modo partecipe dell’esperienza del personaggio, è un elemento del reale, non è Roma che muove e commuove Delmont, è un oggetto esterno analogo a quel “tapis de fer chauffant” sul quale ciclicamente ritorna il suo sguardo.
Le immagini di Genova e di Spezia sono dunque quel poco che la velocità del treno permette di cogliere e di riconoscere. E’ una sorta di come eravamo prima che l’urbanizzazione impedisse una vista di più ampio respiro sulle periferie – allora ancora campagna – e sul mare.
@ Linda Raggio