🇫🇷 "PERCORSI" - Michel de Montaigne et le Journal de Voyage en Italie
«Il viaggiare mi sembra un esercizio giovevole. L’anima vi si esercita continuamente, notando cose sconosciute e nuove. E non conosco scuola migliore, come ho detto spesso, per formare alla vita, che presentarle continuamente la diversità di tante altre vite, opinioni e usanze, e farle assaggiare una così continua varietà di forme della nostra natura. Il corpo non vi rimane né ozioso né affaticato, e questo moto moderato lo mette in allenamento.»
Montaigne compie un viaggio in Italia tra il 1580 e il 1581 e nel suo giornale di viaggio lascia una descrizione del suo passaggio in Val di Magra, vallata che percorre per raggiungere Milano, provenendo da Massa, passando per Pontremoli e Fornovo. Al tempo c’erano due possibilità di percorso, la via per Genova, con imbarco a Lerici e un tratto di navigazione, oppure una via più difficoltosa che attraversava gli Appennini.
Poiché Montaigne soffriva il mare, scelse la via terrestre.
Dal Journal du Voyage de Michel de Montaigne en Italie, par la Suisse et l’Allemagne, en 1580 et 1581.
La Domenica 22 di Ottobre seguitai prima una strada molto piana, avendo sempre il mare Tirreno su la man manca vicino d’una archibugiata. Et in quella strada fra noi, & il mare vimmo una ruina non molto grande, la quale gli paesani dicono essere stata una grande Città nomata Luna.
Vimmo poi a Sarrezana, Terra della Signoria di Genoa: e si vede la loro insegna, la quale è un S. Giorgio a cavallo. Tiene là una guardia di soldati Svizzeri, essendo Terra la quale è suta altre volte del Duca di Firenze. E se non s’intermettesse il Principe di Massa fra loro, non si dubita, che Pietra Santa, e Sarrezana, frontiere dell’un Stato, e dell’altro, non fussino di continuo alle mani.
Passato Sarrezana (dove fummo sforzati pagare 4 giuli per una posta per cavallo…) lasciammo a man stanca la strada di Genoa. Per andare a Milano c’e poca differenza di passar per Genoa, o per l’altra via, e torna a uno…
Mi disturbò, che per andarci sono due strade, l’una lunga di tre giornate di Sarrezana, la quale ha 40 miglia di cattivissima, & alpestrissima via di sassi, e precipizi, e male osterie: poco si bazzica quella via; l’altra è per Lerici discosto tre miglia di Sarrezana, dove si mette per mare, e si passa dodici ore in Genoa.
Io non sopportando l’acqua per il difetto del stomaco, e non tanto sospettando il disagio di quella strada, quanto il tentare d’alloggiamenti per la gran calca ch’era in Genoa ; e di più, che si diceva, che la strada di Genoa a Milano non era troppo sicura di ladri; e non avendo altro in testa che il mio ritorno; mi risolsi di lasciar Genoa da parte, e seguii la strada a man dritta fra molte montagne, tenendo sempre il fondo, e vallone, il lungo del fiume Magra. Et avendola a man stanca passammo adesso per il Stato di Genoa, adesso del Duca di Firenze, adesso de i Signori di Casa Malespina.
In fine per una via comodamente bona fuori qualche passi scoscesi è diripiti giunsimo a dormire a Pontremoli, 30 miglia, Cittá molto lunga, popolata d’antichi edifizi non molto belli. Ci sono alcune ruine, e si dice che si nomava delli antichi Appua. È adesso del Stato di Milano: e ultimamente la godevano quei di Casa Fiesca. A tavola mi fu data la prima cosa il cacio, come si fa verso Milano, e contrade d’intorno Piacenza. Mi furono date, secondo l’uso di Genoa, delle olive senza anima acconcie con oglio, & aceto, in forma d’insalata buonissime. Il sito d’essa Cittá è fra le montagne, & al piede d’esse. Si dava a lavar le mani un bacile pieno d’acqua posta sopra un scannetto. Bisognava, che si lavasse ognuno le mani con esso l’acqua.
Me ne partii Lunedì 23 la mattina; e salii, all’uscir di casa, l’Apennino alto assai, ma la strada punto difficile, né pericolosa.
Stettimo tutto il dì salendo, e calando montagne alpestre la più parte, e poco fertili. Venimmo la sera a dormire a Fornovo nel Stato del Conte di S. Secondo, 30 miglia. Mi fu piacere di vidermi uscito delle mani di quei furfanti della montagna: dei quali s’usa tutta la crudeltà a’ viandanti sulla spesa del mangiare, e locare cavalli, che si possa immaginare. Mi fu là messo a tavola diverse sorte d’intingoletti in forma di mostarda buonissimi di diverse sorte. Era l’una di quelle fatta di mele cotonie. Si sente in quelle bande estrema carestia di cavalli a vettura. Sete in mano di gente senza regola, e senza fede verso i forestieri. Altri pagavano duo giuli per cavallo per posta: a me ne domandavano tre, e quattro, e cinque giuli per posta, in modo ch’ogni giorno andava più d’un scudo a logar un cavallo, perchè oltra di questo contavano due poste dove non ne era che una…”
Ogni viaggiatore ha il suo modo di viaggiare. C’è chi osserva una cosa, chi un’altra. I diari di viaggio sono perciò opere originali e molto varie, difficilmente riconducibili a una tipologia ben definita.
Il Giornale del viaggio in Italia di Michel de Montaigne attraverso la Svizzera e la Germania; è un testo non solo particolare, ma per molti versi anche paradossale. Innanzi tutto l’itinerario seguito dal gentiluomo e dal gruppo che lo accompagna (il fratello minore, il cognato, il nobile Charles d’Estissac ed altri), fra il settembre del 1580 e il novembre del 1581, risulta talvolta stravagante. Montaigne affermava che in viaggio ci si trova nella stessa situazione di coloro che, impegnati nella lettura di un libro, sono colti dal timore che possa finire troppo presto. Ragione questa forse della sua scelta di itinerari contorti e poco sistematici.
Inoltre questo Giornale “di Montaigne”, in realtà non è sempre di sua mano. L’autore dei Saggi ne ha scritto certamente la seconda parte, mentre tutta la prima, dall’inizio del viaggio fino all’arrivo a Roma, pare non sia di mano sua, bensì di qualcuno del seguito: un «segretario» forse, di cui s’ignora l’identità.
Dunque il testo che abbiamo ricevuto non è soltanto una relazione di viaggio ma è anche, in un certo senso, una biografia di Montaigne, visto con le sue paure e le sue passioni, da uno scrittore esterno. E’ sempre difficile individuare chi parla e le informazioni, a volte curiose, su usi, comportamenti e costumi dei paesi attraversati sono state via via attribuite ora a Montaigne stesso ora al suo misterioso scrivano.
Montaigne viaggiava a cavallo: “è la posizione (dice nei Saggi) in cui mi trovo meglio, sia da sano che da malato”; e poi “non posso sopportare a lungo (e lo sopportavo più difficilmente in gioventù) né cocchio, né lettiga, né battello; e odio ogni altro veicolo che non sia il cavallo, e in città e in campagna […] Il corpo non vi resta in ozio né si affatica, e questo movimento moderato gli dà lena. Io sto a cavallo senza smontare, sebbene soffra di coliche, e senza disagio, otto o dieci ore. ”
Scende in Italia attraversando Trento, Verona, Vicenza, Padova e Venezia che diceva « aver trovata diversa da come l’immaginava, e un po’ meno mirabile», poi Ferrara, Bologna, Firenze e Siena, fino a raggiungere Roma.
Montaigne, che è malato del mal della pietra, i calcoli al fegato, nel corso del viaggio, sosta a Plombières, Baden, Abano, Bagni di Lucca per provarne le acque termali. Nel Journal offre informazioni e notizie molto dettagliate sulle stazioni termali che incontra nel viaggio.
Fin ad un certo punto il diario di viaggio è scritto in francese. Quando però arriva a Bagni di Lucca, dove prende le acque, si diverte a passare all’italiano, lingua che conosce per le sue letture, come tutte le persone colte in quell’epoca. L’italiano, insieme al latino, era allora lingua veicolare in Europa e Montaigne evidentemente lo parlava, lui o chi scriveva per lui: «Assaggiamo di parlar un poco questa altra lingua, massime essendo in queste contrade dove mi pare sentire il più perfetto favellare della Toscana, particolarmente tra li paesani che non l’hanno mescolato et alterato con li vicini».
Il gioco continua a Firenze dove si ricrede sulla bellezza della città: «Infine confessai, ch’è ragione, che Firenze si dica la bella», … poi a Pisa, Lucca, Siena, Roma.
Sulla via del ritorno, per Parma e Piacenza, diretto a Milano a tappe forzate, poiché aveva ricevuto la nomina a sindaco di Bordeaux, passa la frontiera al Moncenisio, è solo allora che riprende a scrivere in francese le ultime pagine del diario.
Nel Diario sono descritti con cura gli ambienti, i paesaggi, le accoglienze, i caratteri delle popolazioni e perfino i riti, i cibi, le feste, le costumanze, la bellezza delle donne e dei luoghi, senza trascurare gli inevitabili disagi che si presentano. Montaigne in una pagina affermava: “Viaggiare significa strofinare il proprio cervello contro quello degli altri!”
Non è uno dei tanti viaggiatori del Grand Tour. Stendhal, leggendo il suo “Journal” lo accuserà di non interessarsi alle bellezze artistiche del Bel paese. Montaigne infatti era più interessato alla scoperta dell’altro; aveva un’ idea prettamente antropologica del viaggio.
Non seguiva un programma ben definito, si lasciava guidare dall’ispirazione del momento, “non avendo altro progetto se non di girare per luoghi sconosciuti”.
Il viaggio di Montaigne è desiderio di conoscenza e di nuove esperienze ma anche più prosaicamente di cure per i suoi malanni grazie alle acque termali più rinomate del tempo.
Montaigne, con una visione essenzialmente documentaria e persino utilitaristica del viaggio, rappresenta un viaggiatore ben diverso dal viaggiatore romantico dell’800 che sarà spinto verso il Grand Tour da una ricerca sentimentale e mitica.
@Annalisa Tacoli
Michel de Montaigne, Journal du voyage en Italie par la Suisse et l’Allemagne
Fausta Garavini, Il Manifesto 9 Maggio 2021 – Michel de Montaigne a cavallo con lo scriba