MARGUERITE DURAS - "Bocca di Magra era il suo paradiso"
Agli inizi del ‘900 un gruppo di intellettuali e artisti aveva scoperto la foce del fiume Magra, quando Fiumaretta e Bocca di Magra, erano ancora località poco note e quando bisognava attraversare il Magra su barche a remi.
Il primo a venire a Bocca di Magra era stato Montale, verso la fine degli anni ’20 e vi aveva ambientato un racconto “La casa sul Magra” e la poesia “Il ritorno”, in cui è nominato il barcaiolo Duilio; mentre il primo a far pubblicità al Sans Façons, mitico locale di bocca di Magra, era stato Vittorini che scriveva alla moglie, in una lettera del ’36: “Ho saputo che Sans Façons dà delle stanze in affitto […] L’anno venturo si potrebbe provare a venire tutti […]
Inge Feltrinelli, ricordando quegli anni Cinquanta, diceva: “Marguerite passava tutte le estati a Bocca di Magra, con Elio Vittorini […] Per lei l’Italia era Vittorini […] e Bocca di Magra era il suo paradiso.”
Si trattava di Marguerite Duras, ovvero Marguerite Donnadieu, nata nel 1914, a Gia Dinh, in Cocincina, l’attuale Vietnam, allora colonia francese, dove aveva passato l’infanzia e l’adolescenza.
Nel 1943, a 29 anni, esordisce in letteratura. I suoi scritti si distinguono subito per la diversità e la modernità: rinnoverà il romanzo e sconvolgerà tutte le convenzioni teatrali e cinematografiche.
Sceglie un nome d’arte: Duras, nel Sud Ovest della Francia, è il nome della città dove la sua famiglia aveva una casa.
Nel 1950 il suo romanzo Una diga sul Pacifico, autobiografia degli anni indocinesi, la consacra come “scrittrice”. In Italia Calvino propone con entusiasmo il libro all’editore Einaudi. Elio Vittorini lo accoglie come “il più bel romanzo francese del dopoguerra”. Il regista René Clément ne trarrà l’omonimo celebre film. Ormai il suo successo è inarrestabile.
Poi si lancia nel cinema. Alain Resnais le chiede una sceneggiatura. Da questa inattesa collaborazione nasce, nel 1959, un film che resterà nella storia del cinema, Hiroshima, mon amour. Ma il vero successo arriva con L’amant, fenomeno sociale: le relazioni fra asiatici ed europei all’epoca erano proibite. Il romanzo si avvicina più all’autofiction che non all’autobiografia: Marguerite Duras aveva fatto suo il detto di Rimbaud : “Je est un autre”. L’io dell’autore e l’io del personaggio principale non coincidono mai perfettamente. La Duras accentua il carattere sperimentale della tecnica romanzesca, scompare il personaggio, si sgretola l’intreccio. Lei non spiega, non descrive, non giudica mai. Inventa una scrittura piena di silenzi: crea opere che sono nello stesso tempo racconti, poemi in prosa, sceneggiature. Sviluppa uno stile basato sulla porosità dei generi tanto che sulla copertina di India Song si legge una tripla menzione, “testo, teatro, film”.
Aveva scritto 34 romanzi. Oltre alla scrittura, aveva diretto 16 film, aveva persino recitato accanto a Belmondo e a Gérard Depardieu.
Ma torniamo a Bocca di Magra che, come abbiamo visto, lei amava molto, tanto che nei suoi scritti parla più volte di … “Rocca”. Nell’agosto del ‘46, Bocca di Magra si rivela il crocevia della sua vita sentimentale. Margherite dirà di non aver mai vissuto un’estate così indimenticabile, di felicità. Lì sono in vacanza tutti insieme: lei, lui, l’altro, un ménage à trois, e gli amici. È una Duras dal cuore diviso quella della vacanza sul Magra, una donna quarantenne che si interroga sulla propria vita. Il marinaio di Gibilterra è ambientato in questo luogo e narra di quel momento. (1952): sviluppo nuovo di un tema antico, quello del viaggio.
E’ la ricerca della felicità, leggiamo infatti nel testo: «Tandis qu’elle cherche, elle n’est pas malheureuse ».
Gli ambienti descritti dall’autrice esistono veramente. Fra i luoghi evocati il mare è quello che più spesso coinvolge il lettore. “Guardare il mare significa vedere il Tutto”. Il marinaio di Gibilterra è il romanzo del sentimento amoroso nella sua evoluzione, nella sua universalità ma in una visione d’incompiutezza, di vuoto, di irraggiungibilità.
Nel romanzo “I cavallini di Tarquinia” (1953) il legame con l’opera precedente è evidente; si racconta di un certo Ludi, che altri non è che Vittorini. E’ il romanzo di vacanze passate a Bocca di Magra: alla fine di una strada, ai piedi di una montagna, davanti ad un imbarcadero, un albergo, una balera, l’estuario di un fiume, il mare, un paesaggio minacciato da un incendio estivo. Un gruppo di amici che nel calore opprimente dell’estate italiana si annoiano. Dalla noia nascono conversazioni pigre sull’amore, l’amicizia, la vita di tutti i giorni … che non è mai quella che ci si immagina.
Tutto è torpore. Il torpore è il vuoto della vita, l’inutilità dell’esistenza. Poi il progetto di un piccolo viaggio verso Tarquinia, il sito etrusco, che dovrebbe riparare le ferite del cuore.
Ancora un ricordo di Bocca di Magra in Savannah Bay, pièce teatrale scritta dalla Duras nel 1982.
Qui l’amore, la morte, la memoria ruotano intorno a uno scoglio bianco. “Un grande scoglio bianco in mezzo al mare […] piatto, […] bello come un palazzo […] uno scoglio staccatosi dalla montagna (le Apuane) al tempo delle prime spaccature del continente, quando il mare vi si è riversato sopra“.
Alla domanda di un giornalista: “Che cos’è, signora Duras, questo scoglio, per lei?” Lei rispondeva: “Lo scoglio esiste davvero nella mia vita. Fa parte della mia giovinezza, di una vacanza della mia giovinezza, vicino a Sarzana, dove il fiume Magra finisce nel mare. Ero ospite di Vittorini. E’ un luogo reale che a poco a poco, non lasciandomi mai, è diventato un luogo teatrale“.
@Annalisa Tacoli