ESPACE CULTURE
À LA UNE
Un Monet a Venezia dopo oltre un secolo.
Il capolavoro Le Grand Canal et Santa Maria della Salute di Claude Monet torna in laguna il 20 aprile per una mostra speciale a Palazzo Gritti (da dove la vista è quasi esattamente come quella raffigurata nel dipinto) in occasione dell’inaugurazione della 59esima Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia. Poi andrà all’asta come lotto principale della ‘Modern Evening Auction’ di Sotheby’s a New York il 17 maggio.
Dopo la sua prima e unica visita a Venezia, il Maestro dell’Impressionismo realizzò una straordinaria serie di 37 dipinti che catturarono scorci della città. Eseguito nel 1908, Le Grand Canal è una veduta scintillante e luminescente del Canal Grande e della chiesa di Santa Maria della Salute ed è una delle più belle opere mai create dall’artista, e il culmine della serie dipinta durante il suo soggiorno veneziano dai gradini di Palazzo Barbaro che guardano attraverso e giù per il Canal Grande verso Santa Maria della Salute.
Monet e la moglie Alice si recarono a Venezia nell’autunno del 1908 su invito di Mary Young Hunter, una ricca americana che era stata presentata ai coniugi francesi da John Singer Sargent. Accolto da una cerchia di americani benestanti a Venezia, Monet trascorse il suo tempo a Palazzo Barbaro e al Grand Hotel Britannia, entrambi sul Canal Grande, catturando alcune delle immagini più iconiche della sua carriera.
César Franck protagonista al Palazzetto Bru Zane.
La missione del Palazzetto Bru Zane – Centre de musique romantique française è la riscoperta e la diffusione a livello internazionale del patrimonio musicale francese (1780-1920). Si occupa sia di musica da camera sia del repertorio sinfonico, sacro e lirico, senza dimenticare i generi «leggeri» che caratterizzano lo spirito francese (chanson, opéra-comique, operetta). Il centro, che è stato inaugurato nel 2009 e ha sede a Venezia in un palazzo del 1695 appositamente restaurato per ospitarlo, è una realizzazione della Fondation Bru.
Attualmente è in corso il festival dedicato all’Universo di César Franck (1822-1890): nume tutelare del post-romanticismo francese, il compositore lascia un’eredità troppo poco conosciuta e una costellazione di ferventi discepoli. Un tenace malinteso ci consegna il ritratto di un organista austero, diviso tra devozione mistica e un interesse rivolto esclusivamente a una difficile musica strumentale. Quest’immagine oleografica fu coltivata dai suoi stessi allievi più fedeli, che ne esaltarono l’onestà, la moralità, il disinteresse per le mode, ma anche l’intellettualità dei metodi di composizione, per consacrare una corrente della musica francese in grado di contrapporsi all’estetica wagneriana e a quella di Debussy. Ingannata da tali filtri, la posterità ha poi ritenuto solo una manciata di opere tra le circa cento composte da Franck, soprattutto le partiture che si presentano come pezzi unici e danno l’impressione di una genesi priva di esitazioni: il suo Quintetto, la Sonata, il Quartetto sembrano non avere modelli né discendenza. Lo stesso vale per le Béatitudes – un Oratorio dalle dimensioni smisurate – o per la Sinfonia in re minore, la cui costruzione ciclica si innalza a modello assoluto. Nel celebrare il bicentenario della nascita del compositore, con la collaborazione in particolare dell’Orchestre Philharmonique Royal di Liegi e della Chapelle Musicale Reine Elisabeth, il Palazzetto Bru Zane intende presentare l’artista sotto una luce nuova: l’integrale delle mélodies o la prima registrazione dell’opera lirica Hulda (senza tagli) saranno tra i momenti clou di questa rinascita.
ITALISSIMO, le Festival de littérature et culture italienne commence!
Le Festival de littérature & culture italiennes ITALISSIMO revient à Paris pour sa 7ème édition, du 6 au 10 avril 2022, après deux éditions chahutées par la pandémie, avec des rencontres, des lectures, des spectacles, des films… Fidèle à sa tradition, ITALISSIMO s’ouvrira par une rencontre à Sciences Po le mercredi 6 avril et se déroulera ensuite dans différents lieux parisiens: de la Maison de la Poésie au Consulat Italien, du Théâtre les Déchargeurs à l’Institut culturel italien, de l’Université Sorbonne Nouvelle à la BPI du Centre Pompidou, en passant par la Galerie Tornabuoni Art. Certains des écrivains invités cette année sont déjà très connus comme Silvia Avallone, Erri De Luca, Claudio Magris, Francesca Melandri, Cristina Comencini, Emanuele Trevi, Wu Ming ou Giuliano Da Empoli. D’autres méritent d’être découverts, car ils représentent le renouveau de la scène littéraire italienne : Marta Barone, Giuseppe Catozzella, Daniele Mencarelli, Manuela Piemonte, Chiara Mezzalama et Laura Pugno. Sans oublier l’hommage à la poésie et l’engagement de Pier Paolo Pasolini, à l’occasion du centième anniversaire de sa naissance, avec rencontres, projections et le spectacle « La poésie en forme de rose » d’Antonio Interlandi.
Maurizio Bettini, nouveau docteur Honoris Causa de l’Université de Toulouse.
Grande figure des études sur l’Antiquité, auteur de nombreux essais sur le sujet, Maurizio Bettini s’est vu remettre le titre de docteur Honoris Causa de l’Université Toulouse – Jean Jaurès lors d’une cérémonie dédiée.
Maurizio Bettini est un philologue, anthropologue, latiniste et helléniste, italien. Professeur à l’Université de Sienne, il a enseigné dans de nombreuses autres universités à travers le monde telles que Berkeley aux USA ou encore l’École Pratique des Hautes Études et le Collège de France. Grande figure des études sur l’Antiquité, il est l’auteur de nombreux essais sur le sujet mais il écrit aussi des romans et nouvelles, dont une bonne partie est traduite en français. Il collabore, par ailleurs, à la page culture de La Repubblica. Son rapport plus particulier à l’UT2J tient aux relations nouées autour du centre «Anthropologie et Monde antique» qu’il a fondé en 1986 dans son université d’origine et avec lequel les enseignants-chercheurs de l’UT2J collaborent fréquemment; ces liens ont aussi permis aux doctorant·e·s de circuler entre Sienne et Toulouse. Ainsi nombreux sont celles et ceux qui ont croisé son chemin dans le cadre de colloques et de recherches et l’on se souvient, notamment, de sa participation au colloque “Antiquité et Anthropologie” tenu sur le campus Mirail en 2009.
Le diplôme de docteur Honoris Causa que l’UT2J lui a remis le 22 mars 2022 salue l’originalité et la valeur de son approche anthropologique du monde antique. C’est son parcours et son œuvre foisonnante, marquante, que l’UT2J distingue aujourd’hui. Son « esprit grand ouvert » qui caractérise si bien l’Université et l’ensemble de ses Docteurs Honoris Causa, venus du monde entier pour contribuer à son rayonnement.
LIVRES
Annie ERNAUX, Guarda le luci, amore mio (Regarde les lumières mon amour), L’orma editore.
«Qui, in certi momenti, ho l’impressione di essere una superficie liscia sulla quale si riflettono le persone, i cartelli sospesi sopra le teste.»
Raccontare la vita: è questo il nome della collana per la quale nel 2012 l’editore francese Seuil chiede un libro ad Annie Ernaux. Senza esitazioni, l’autrice sceglie di portare alla luce uno spazio ignorato dalla letteratura, eppure formidabile specchio della realtà sociale: l’ipermercato. Ne nasce dunque un diario, in cui Ernaux registra per un anno le proprie regolari visite al «suo» Auchan annotando le contraddizioni e le ritualità ma anche le insospettate tenerezze di quel tempio del consumo. Da questa «libera rassegna di osservazioni» condotta tra una corsia e l’altra – con in mano la lista della spesa –, a contatto con le scintillanti montagne di merci della grande distribuzione, prende vita Guarda le luci, amore mio, una riflessione narrativa capace di mostrarci da un’angolazione inedita uno dei teatri segreti del nostro vivere collettivo.
Annie Ernaux è nata a Lillebonne (Senna Marittima) nel 1940 ed è una delle voci più autorevoli del panorama culturale francese. Studiata e pubblicata in tutto il mondo, nei suoi libri ha reinventato i modi e le possibilità dell’autobiografia, trasformando il racconto della propria vita in acuminato strumento di indagine sociale, politica ed esistenziale. Considerata un classico contemporaneo, è amata da generazioni di lettori e studenti. Vicina al pensiero di Pierre Bourdieu, nei suoi rari, ma sempre incisivi, interventi pubblici si è espressa contro le disparità di genere e le ineguaglianze di classe. In Italia ha ricevuto importanti premi tra i quali il Feronia, lo Strega Europeo, l’Hemingway e il Von Rezzori.
Delphine de VIGAN, Tutto per i bambini (Les enfants sont rois), Einaudi.
In questo nuovo, acclamatissimo romanzo Delphine de Vigan si avventura con coraggio nell’universo tanto complesso quanto affascinante dei social network, restituendo il ritratto di una società – la nostra – in cui non c’è niente che non possa essere messo in scena e in vendita. Persino, e soprattutto, la felicità.
Primi anni Dieci del Duemila. Mélanie, che è cresciuta davanti allo schermo della televisione, ipnotizzata dai reality e dalle loro promesse di notorietà, ha un solo obiettivo nella vita: diventare famosa. Quando supera le selezioni per un nuovo show – seppur non tra i piú noti – Mélanie è al settimo cielo. Ma quell’unica esperienza si rivela disastrosa. Il segno del fallimento è una ferita che non si rimargina.
- Moglie e madre modello, Mélanie vive in un lussuoso complesso residenziale nei sobborghi di Parigi e ha creato un canale YouTube di grande successo, Happy Récré, interamente dedicato alla vita quotidiana dei suoi figli, Sam, di otto anni, e Kim, di sei. La formula di Mélanie ha conquistato la rete: il prodotto di quest’anonima madre intraprendente è seguito, ammirato, amato da milioni di iscritti. Sponsor, promozioni, campagne: i bambini si prestano alle richieste delle aziende che passano per il filtro materno; Sam e Kim vivono una recita ininterrotta e le loro identità sono ormai un brand. Ma un giorno i riflettori del mondo di Mélanie fanno cortocircuito: Kim è scomparsa. Della squadra di polizia che conduce le indagini fa parte la giovane Clara, che si appassiona subito al caso. La piccola Kim ha lasciato poche tracce: incontro sbagliato, fuga, rapimento? Non si può scartare nessuna ipotesi, e Clara sospetta che la chiave di tutto sia nascosta dietro le quinte di Happy Récré. Scavando nell’universo dei baby influencer, Clara si rende conto allora che la felicità esibita dagli schermi è un’ingannevole illusione. Perché la realtà in cui si muovono i piccoli Sam e Kim, piú che al regno fatato descritto da Mélanie, assomiglia a un vero e proprio inferno autorizzato.
«Delphine de Vigan mostra l’impatto dei social sulla vita famigliare. Ci racconta dei bambini che mettiamo in mostra, ma anche del bambino nascosto in ognuno di noi». Le Monde des Livres
«Tutto per i bambini è un viaggio, inquietante e insieme appassionante, al cuore del mondo dei baby influencer filmati dai loro genitori in cerca di fama e ricchezza». L’Obs
«Ritornando ai temi che le sono cari, come l’abuso di potere e la violenza famigliare, Delphine de Vigan si avvale con maestria dei meccanismi del thriller per un’analisi sconvolgente delle derive di un mondo in cui l’esibizione di sé e la finzione sono diventati la norma». Madame Figaro
Yasmina REZA, Serge (Serge), Adelphi.
Yasmina Reza possiede un orecchio assoluto per «la musica degli uomini e delle donne», e il talento di riprodurla creando personaggi indimenticabili, di cui mette a nudo i lati comici non meno di quelli patetici. Senza sarcasmo, tiene a precisare lei stessa, ma con profonda empatia, poiché tutti sono minacciati dall’insignificanza e dalla malinconia, dallo sfacelo della vecchiaia e dal tempo, che incessantemente ci sottrae la memoria pur non riuscendo a cancellarla completamente. Ed è così anche in questo romanzo, che ci fa entrare nel cuore di una famiglia di origini ebraiche, i Popper, e più precisamente nei complessi, e non di rado conflittuali, legami fra tre fratelli: Jean, il narratore, «quello di mezzo», cresciuto all’ombra del maggiore, il Serge del titolo, un cialtrone bigger than life, inconcludente, superstizioso, scorbutico, scorrettissimo, fragile e seducente; infine Nana, la più piccola, moralista e petulante. E poi figli, nipoti, mariti, ex amanti, a formare un intreccio di voci corrosivo e scintillante. Le tensioni culmineranno in una resa dei conti che avverrà nel corso di una visita ad Auschwitz, tra orde di «gente in tenuta semibalneare, canottiere, sneakers colorate, pantaloncini, tutine, abitini a fiori».
«In un’epoca dove sempre più si restringe il campo delle cose di cui si può ridere,» ha scritto Franz-Olivier Giesbert «Reza non rispetta niente: né la famiglia, né il matrimonio, né la donna, né il cancro – e nemmeno, sacrilegio!, i viaggi “turistici” ad Auschwitz».
Yasmina Reza è drammaturga, scrittrice, attrice e sceneggiatrice francese, le cui opere teatrali sono state adattate e rappresentate in molti Paesi e hanno ricevuto svariati premi. Figlia di un ingegnere iraniano e di una violinista ungherese di origine ebraica, comincia la sua carriera teatrale come attrice, partecipando a rappresentazioni di opere contemporanee e di classici di Molière e Marivaux. La prima pièce da lei scritta, Conversations après un enterrement, rappresentata per la prima volta nel 1987, la vale il Premio Molière come miglior autore; La traversée de l’hiver vince invece il Molière come miglior spettacolo regionale. Il successo internazionale arriva con l’opera successiva, Art, tradotta e rappresentata in oltre trenta lingue.
Charles BAUDELAIRE, Il Salon del 1846, Johan & Levi editore.
Charles Baudelaire, considerato il padre della poesia moderna, è anche autore di testi in prosa fra i più influenti e audaci del XIX secolo. Assiduo frequentatore dei salons parigini, era solito esprimere le sue teorie sull’arte moderna e sulla filosofia dell’arte in una critica arguta e diretta. Questo breve saggio si sviluppa attorno ai principi del Romanticismo mentre Baudelaire accompagna metodicamente il lettore attraverso le opere di Delacroix e Ingres, rivelando la sua convinzione che il perseguimento dell’ideale è essenziale nell’espressione artistica. Una lente molto utile per capire la critica d’arte del XIX secolo in Francia e le opinioni mutevoli riguardo all’essenza del Romanticismo e dell’artista come genio creativo. La prefazione di Adolfo Tura offre una nuova lettura di questo testo fondamentale mettendone in evidenza l’importanza anche per il pubblico odierno.
Voltaire, Gli anni in Svizzera, a cura di Franco Monteforte e Carlo Caruso, Armando Dadò Editore.
Nel «paese della tranquillità e della libertà», tra Ginevra (Les Délices) e Losanna (Montriond), Voltaire ha finalmente agio di sistemare i propri affari e di allestire la prima edizione completa delle proprie opere presso gli editori ginevrini Cramer. Sono gli anni memorabili della Pucelle d’Orléans (1755), del Poème sur le désastre de Lisbonne, dell’Essai sur les moeurs (1756), di Candide (1759), e ancora della collaborazione all’Encyclopédie di d’Alembert e Diderot, dell’articolo Genève di d’Alembert, della polemica con i pastori ginevrini e con Rousseau, delle imprese di Federico il Grande nella Guerra dei Sette Anni. All’antologia di lettere del periodo svizzero (1754-1760), curata da Carlo Caruso, che rende conto della varietà dei temi e della vivacità dello stile epistolare volteriano, si accompagna l’ampio saggio introduttivo di Franco Monteforte che ricostruisce l’intero arco storico del rapporto di Voltaire con Ginevra e la Svizzera, compresi gli anni di Ferney (1760-1777), entro cui le lettere acquistano tutta la loro importanza di brillante documento di un capitolo cruciale della civiltà europea, alla vigilia della Rivoluzione francese.
Voltaire, pseudonimo di François-Marie Arouet (Parigi 1694-1778), è il più celebre rappresentante dell’Illuminismo francese e tra i più vigorosi difensori della tolleranza, dell’indipendenza di pensiero e della libertà di espressione. Fu saggista versatile e brillantissimo, formidabile polemista, drammaturgo, poeta, audace innovatore dei metodi storiografici e affascinante corrispondente.
Alexis SALATKO, La dernière enquête de Dino Buzzati, Denoël.
«Ce n’est pas parce qu’un artiste est mort qu’il n’a plus rien à dire.J’en sais quelque chose, je suis mort.»
Été 1970, Dino Buzzati apprend qu’il souffre de la maladie qui a emporté son père. Au lieu d’accueillir la nouvelle avec effroi, le grand écrivain italien, auteur du Désert des Tartares, jubile: il va enfin pouvoir affronter l’ennemi, le regarder en face. Au Corriere della Sera, le journal auquel il collabore depuis quarante ans, on lui propose d’enquêter sur un phénomène étrange survenu dans un petit village du sud de l’Italie: les habitants d’un immeuble misérable ont été découverts pétrifiés. Très vite, la dernière enquête de Buzzati devient une enquête sur Buzzati. Cheminant entre mémoire, rêve et réalité, l’écrivain fait le bilan de sa vie en un allègre requiem.
I cinquant’anni dalla morte di Buzzati vedono in Francia l’uscita di un romanzo biografico dedicato all’autore bellunese, che racconta molto da vicino la vita dello scrittore, immaginando una sua ultima inchiesta come cronista, che è però soprattutto l’immersione in una di quelle atmosfere sospese che rendono così riconoscibile l’opera di Buzzati.
Nicolas MATHIEU, Connemara, Actes Sud.
L’auteur de Leurs enfants après eux, lauréat du prix Goncourt 2018, revient avec un roman plus fort, plus intime, sur fond d’allers-retours sensibles entre le passé et le présent. Il fait entendre la voix d’une France régionale rarement visible dans la littérature contemporaine.
Hélène a bientôt quarante ans. Elle est née dans une petite ville de l’Est de la France. Elle a fait de belles études, une carrière, deux filles et vit dans une maison d’architecte sur les hauteurs de Nancy. Elle a réalisé le programme des magazines et le rêve de son adolescence: se tirer, changer de milieu, réussir. Et pourtant le sentiment de gâchis est là, les années ont passé, tout a déçu.
Christophe, lui, vient de dépasser la quarantaine. Il n’a jamais quitté ce bled où ils ont grandi avec Hélène. Il n’est plus si beau. Il a fait sa vie à petits pas, privilégiant les copains, la teuf, remettant au lendemain les grands efforts, les grandes décisions, l’âge des choix. Aujourd’hui, il vend de la bouffe pour chien, rêve de rejouer au hockey comme à seize ans, vit avec son père et son fils, une petite vie peinarde et indécise. On pourrait croire qu’il a tout raté. Et pourtant il croit dur comme fer que tout est encore possible.
Connemara c’est cette histoire des comptes qu’on règle avec le passé et du travail aujourd’hui, entre PowerPoint et open space. C’est surtout le récit de ce tremblement au mitan de la vie, quand le décor est bien planté et que l’envie de tout refaire gronde en nous. Le récit d’un amour qui se cherche par-delà les distances dans un pays qui chante Sardou et va voter contre soi.
Maylis de KERANGAL, Canoës, Gallimard.
«J’ai conçu Canoës comme un roman en pièces détachées : une novella centrale, “Mustang”, et autour, tels des satellites, sept récits. Tous sont connectés, tous se parlent entre eux, et partent d’un même désir : sonder la nature de la voix humaine, sa matérialité, ses pouvoirs, et composer une sorte de monde vocal, empli d’échos, de vibrations, de traces rémanentes. Chaque voix est saisie dans un moment de trouble, quand son timbre s’use ou mue, se distingue ou se confond, parfois se détraque ou se brise, quand une messagerie ou un micro vient filtrer leur parole, les enregistrer ou les effacer. J’ai voulu intercepter une fréquence, capter un souffle, tenir une note tout au long d’un livre qui fait la part belle à une tribu de femmes — des femmes de tout âge, solitaires, rêveuses, volubiles, hantées ou marginales. Elles occupent tout l’espace. Surtout, j’ai eu envie d’aller chercher ma voix parmi les leurs, de la faire entendre au plus juste, de trouver un “je”, au plus proche.» (M. de K.)
«Embarquée sur son canoë de papier, Maylis de Kerangal remonte le courant jusqu’aux sources de l’écriture, chasseuse-cueilleuse de phrases d’une musicalité brute.» Élisabeth Philippe, L’Obs
«Après le très beau Réparer les vivants, après Naissance d’un pont, Maylis de Kerangal revient avec un recueil de huit nouvelles autour de la voix. Des voix de femmes qui racontent leur vie, leurs envies, leurs fêlures, leurs silences.» Léa Salamé, France Inter
LIVRES POUR LES PETITS LECTEURS
Benjamin LACOMBE, Cécité Malaga (Cécité Malaga), Rizzoli.
L’artista prodigio era famosa in tutto il Paese. La gente voleva ammirarla e pensava di conoscere la sua leggenda. Una storia dove gli occhi e la vista rivestono un ruolo essenziale nel percorso di caduta e rinascita di una funambola prodigio, che Lacombe racconta come è sua abitudine tra chiari e scuri. Età di lettura: da 7 anni.
Voici l’histoire de Cécité Malaga, jeune artiste funambule aveugle, adulée du public. Qui est-elle? D’où vient sa cécité? Quelle destinée légendaire porte-t-elle? Benjamin Lacombe écrit et illustre une histoire concise et mystérieuse, parée des lumières du spectacle. En proposant un astucieux montage de pages de calques, il joue avec des zones sombres, de flous, des éclaircissements, des dévoilements, et nous donne à voir le trouble dans lequel vit Cécité. Des vernis posés avec parcimonie nous invitent à toucher et ressentir sans voir, faisant de cet album unique une réflexion sensible sur les sens, sur la puissance des souvenirs.
Benjamin Lacombe è un autore e illustratore francese. Compie i suoi studi presso l’École Nationale Superieure des Arts Decoratifs di Parigi (ENSAD) e all’età di 19 anni firma i suoi primi libri di fumetti e illustrazioni. È tradotto e premiato in tutto il mondo per i suoi libri e per le sue rivisitazioni di grandi classici, da Alice a Bambi. Ha esposto i suoi lavori nelle più importanti gallerie del mondo. Vive e lavora a Parigi.
Gaël FAYE, La noia dei pomeriggi senza fine (L’ennui des après-midi sans fin), illustrazioni di Hippolyte, Bompiani.
«Da bambino ho avuto la fortuna di annoiarmi. Non avevo scuola al pomeriggio e a casa mia non c’erano schermi né televisione. Quindi ho dovuto imparare a mettere in campo tesori di immaginazione per inventarmi giochi e passatempi… Di quei giorni immobili conservo il ricordo di un periodo incantato in cui ho potuto riempire fino all’orlo il forziere della mia immaginazione. La noia dei miei pomeriggi d’infanzia era un viaggio in cui il tempo mi apparteneva, uno spazio in cui ho fabbricato sogni immensi.» Età di lettura: da 10 anni.
Gaël Faye è un rapper, cantante, poeta e romanziere francese di origine burundiana da parte di madre. Nel 2016 ha vinto il Prix Goncourt des lycéens con il romanzo Petit pays. Le illustrazioni del libro sono di Hippolyte, disegnatore molto noto in Francia per i suoi reportages a fumetti dedicati all’Africa e in particolare per il racconto sul genocidio dei tutsi in Ruanda in La Fantaisie des Dieux. A legare a doppio filo Gaël Faye e Hippolyte, fino a realizzare insieme un’opera in cui parole e immagini si sposano perfettamente, è proprio la memoria della guerra civile in Burundi e della tragedia ruandese, che ha costretto Faye e la sua famiglia all’esilio e a una nuova vita in Europa. Nelle pagine di La noia dei pomeriggi senza fine è assente il doloroso fantasma che pure è stato centrale nella giovinezza di Gaël. Si torna indietro, a un “prima magico e sospeso”, che poi è il modo in cui molti di noi percepiscono i ricordi della fanciullezza. “La mia infanzia in Burundi aveva un gusto particolare: sono stati la guerra e l’esilio a farmi comprendere che era un tempo di felicità. Ritorno spesso in sogno al Burundi, a quella casa rossa in mezzo alle colline dove sono cresciuto”.
EXPOSITIONS
Monet. Capolavori dal Musée Marmottan Monet di Parigi. Genova. Palazzo Ducale Fino al 22 maggio 2022.
Il mio giardino è l’opera d’arte più bella che io abbia creato (Claude Monet)
Una mostra dedicata al grande maestro Claude Monet, senza dubbio uno dei pittori più amati tra gli impressionisti e più apprezzati dal grande pubblico. Il percorso espositivo, articolato in ordine cronologico, presenta oltre cinquanta opere, tra cui le celebri Ninfee (1916-1919) e Le rose (1925-1926), un nucleo di opere alle quali Monet era intimamente legato, tanto da non volerle mai mettere in vendita e tenerle gelosamente custodite nella sua abitazione di Giverny. Opere che rappresentano tutto il suo talento artistico e raccontano la sua geniale creatività, oggi conservate al Musée Marmottan Monet di Parigi, il museo che custodisce il nucleo più grande al mondo di opere di Monet, frutto della donazione avvenuta nel 1966 da parte del figlio Michel.
L’eccezionalità di questa mostra risiede nell’amore e nell’intimità che emanano le opere esposte, allestite in maniera del tutto inedita e suggestiva nella sala del Munizioniere di Palazzo Ducale, luogo pieno di fascino che consentirà un viaggio del tutto nuovo nel mondo di Monet.
Nelle sue tele di luce evanescente, Monet ha sempre unito il suo amore per la natura con l’arte e, facendo del pennello una propaggine della sua mano, ha creato e riprodotto giardini ovunque abbia vissuto. Sebbene trascorresse molto del suo tempo a Parigi e viaggiasse molto in Francia e all’estero, Monet preferì la campagna e visse per più di cinquant’anni lungo la Senna, accrescendo sempre più il suo interesse per il giardinaggio, per le aiuole che allietavano le sue prime case ad Argenteuil e per i suoi magnifici giardini a Giverny, che divennero un piacere per gli occhi, un luogo rilassante per contemplare la natura e fonte di ispirazione. Proprio Giverny, la sua casa dopo il 1883, può essere considerata come il luogo di consapevolezza e rinascita per lo stesso artista; una sequenza di nuovi elementi dettati da una brillante innovazione formale, geografica e di ricerca stilistica che lo ha portato a interessarsi sempre di più soggetti impregnati di nuova lirica e colori vivaci.
Ad accogliere il pubblico come in un onirico giardino lussureggiante, appositamente creato, ci saranno opere come le sue amatissime e iconiche Ninfee (1916-1919 ca.), Iris (1924-1925 ca.), Emerocallidi (1914-1917 ca.), Salice piangente (1918-1919 ca.), le varie versioni de Il ponte giapponese e la sua ultima e magica opera Le rose (1925-1926 ca.). Ma non solo. Verdeggianti salici piangenti, viali di rose e solitari ponticelli giapponesi dai colori impalpabili fanno da cornice a una natura ritratta in ogni suo più sfuggente attimo, variazione di luce, tempo o stagione.
La mostra, curata da Marianne Mathieu, storica dell’arte e direttrice scientifica del Musée Marmottan Monet, è suddivisa in sette sezioni e presenta tutti i temi salienti dell’Impressionismo e della ricerca artistica di Monet intorno alla luce. Dai primi lavori che raccontano la rivoluzione della pittura en plein air, contraddistinti dal piccolo formato, ai grandi paesaggi, rurali e urbani. C’è tutto il mondo di Monet, fatto di corpose ma delicate pennellate, con quella luce a volte fioca e a volte accecante. Ci sono i verdeggianti salici piangenti, i viali di rose onirici, i ponticelli giapponesi e le ninfee monumentali, i glicini dai colori evanescenti. La natura, ritratta in ogni suo più sfuggente attimo.
Monet e gli Impressionisti in Normandia. Trieste. Museo Revoltella. Fino 5 giugno 2022.
Il percorso espositivo consta di un eccezionale corpus di oltre 70 opere che racconta il movimento impressionista e i suoi stretti legami con la Normandia. Sul palcoscenico di questa terra, pittori come Monet, Renoir, Delacroix e Courbet – in mostra insieme a molti altri – colgono l’immediatezza e la vitalità del paesaggio imprimendo sulla tela gli umori del cielo, lo scintillio dell’acqua e le valli verdeggianti della Normandia, culla dell’Impressionismo. La mostra è incentrata soprattutto sul patrimonio della Collezione Peindre en Normandie – tra le collezioni più rappresentative del periodo impressionista – affiancata da prestiti provenienti dal Musée Marmottan Monet di Parigi, dal Belvedere di Vienna, dal Musée Eugène-Boudin di Honfleur e da collezioni private e ripercorre le tappe salienti della corrente artistica: opere come Falesie a Dieppe (1834) di Delacroix, La spiaggia a Trouville (1865) di Courbet, Camille sulla spiaggia (1870) di Monet, Tramonto, veduta di Guernesey (1893) di Renoir – tra i capolavori presenti in mostra – raccontano gli scambi, i confronti e le collaborazioni tra i più grandi artisti dell’epoca che – immersi in una natura folgorante dai colori intensi e dai panorami scintillanti – hanno conferito alla Normandia l’immagine emblematica della felicità del dipingere. Furono gli acquarellisti inglesi come Turner e Parkes che, attraversata la Manica per abbandonarsi allo studio di paesaggi, trasmisero la loro capacità di tradurre la verità e la vitalità naturale ai pittori francesi: gli inglesi parlano della Normandia, della sua luce, delle sue forme ricche che esaltano i sensi e l’esperienza visiva. Luoghi come Dieppe, l’estuario della Senna, Le Havre, la spiaggia di Trouville, il litorale da Honfleur a Deauville, il porto di Fécamp – rappresentati nelle opere in mostra al Museo Revoltella – diventano fonte di espressioni artistiche di grande potenza, dove i microcosmi generati dal vento, dal mare e dalla bruma possiedono una personalità fisica, intensa ed espressiva, che i pittori francesi giungono ad afferrare dipingendo en plein air dando il via così al movimento impressionista.
Marc Chagall. Una storia di due mondi. Milano. MUDEC Museo delle Culture. Fino al 31 luglio 2022.
La mostra, curata dall’Israel Museum di Gerusalemme, affronta l’opera di Marc Chagall da un punto di vista nuovo, collocandola nel contesto del suo background culturale, grazie alla straordinaria selezione di oltre 100 opere donate per la maggior parte dalla famiglia e dagli amici di Chagall. Il progetto espositivo è dedicato in particolare ai lavori grafici di Chagall e alla sua attività di illustratore editoriale. La mostra ripercorre alcuni temi fondamentali della vita e della produzione dell’artista: dalle radici nella nativa Vitebsk (oggi Bielorussia), descritta con amore e nostalgia nella serie Ma vie, all’incontro con l’amata moglie Bella Rosenfeld, della quale illustrò i libri Burning Lights e First Encounter, dedicati ai ricordi della vita di Bella nella comunità ebraica, pubblicati dopo la morte prematura della donna e di cui in mostra sono esposti i disegni originali.
I lavori esposti riflettono dunque l’identità poliedrica dell’artista, che è al tempo stesso il bambino ebreo di Vitebsk; il marito che correda di immagini i libri dell’amata moglie; l’artista che illustra la Bibbia, volendo rimediare così alla mancanza di una tradizione ebraica nelle arti visive; e infine l’originale pittore moderno che, attraverso l’uso dell’iconografia cristiana, piange la sorte toccata nel suo secolo al popolo ebraico.
Saranno presenti, infine, una selezione di oggetti rituali, usati nelle cerimonie religiose delle comunità ebraiche e che sono spesso raffigurati nelle opere di Chagall.
Gribouillage / Scarabocchio. De Léonard de Vinci à Cy Twombly. Roma. Villa Médicis – Académie de France. Fino al 22 maggio 2022.
L’exposition se déploie en deux volets uniques et complémentaires, l’un à Rome, l’autre à Paris: la première présentation à la Villa Médicis, du 3 mars au 22 mai 2022, sera suivie d’une seconde aux Beaux-Arts de Paris du 19 octobre 2022 au 15 janvier 2023.
Réunissant près de 300 œuvres originales de la Renaissance à l’époque contemporaine, les deux présentations de l’exposition mettent en lumière l’un des aspects les plus refoulés et les moins contrôlés de la pratique du dessin. En abordant les multiples facettes du gribouillage, du croquis barbouillé au revers des tableaux au griffonnage faisant œuvre, l’exposition révèle comment ces gestes graphiques expérimentaux, transgressifs, régressifs ou libératoires, qui semblent n’obéir à aucune loi, ont de tout temps ponctué l’histoire de la création artistique.
La Renaissance, pour se défaire des contraintes du dessin dit plus tard «académique», s’est adonnée à des formes graphiques libres, instinctives et gestuelles, qui évoquent les dessins rudimentaires des enfants, les divagations calligraphiques dans les marges des manuscrits ou encore les graffiti de mains anonymes couvrant les murs des villes. Picasso, évoquant justement les enfants, affirmait: «il m’a fallu toute une vie pour apprendre à dessiner comme eux»; Michel-Ange, déjà, s’amusait à imiter des fantoches maladroitement graffités sur les façades florentines. L’exposition explore cette face cachée du travail artistique et invite les visiteurs à déplacer le regard au revers des tableaux ou sur les murs de l’atelier, à la marge des dessins ou sous les décors des fresques détachées….
En proposant des rapprochements inédits entre les œuvres des maîtres de la première modernité – Léonard de Vinci, Michel-Ange, Pontormo, Titien, Bernin… – et celles d’artistes modernes et contemporains majeurs – Picasso, Dubuffet, Henri Michaux, Helen Levitt, Cy Twombly, Basquiat, Luigi Pericle… – l’exposition brouille les classements chronologiques et les catégories traditionnelles (marge et centre, officiel et non officiel, classique et contemporain, œuvre et document) et place la pratique du gribouillage au cœur du faire artistique.
Sabine Weiss. La poesia dell’istante. Venezia. Casa dei tre Oci. Fino al 23 ottobre 2022.
«Quando [Sabine Weiss] fotografa i bambini, diventa bambina lei stessa. Non esistono assolutamente barriere tra lei, loro e la sua macchina fotografica.»
Hugh Weiss, artista e marito di Sabine Weiss
La Casa dei Tre Oci di Venezia presenta la più ampia retrospettiva mai realizzata finora, la prima in Italia, dedicata alla fotografa franco-svizzera Sabine Weiss, scomparsa all’età di 97 anni nella sua casa di Parigi lo scorso 28 dicembre 2021, tra le maggiori rappresentanti della fotografia umanista francese insieme a Robert Doisneau, Willy Ronis, Edouard Boubat, Brassaï e Izis. L’esposizione è il primo e più importante tributo alla sua carriera, con oltre 200 fotografie.
Unica fotografa donna del dopoguerra ad aver esercitato questa professione così a lungo e in tutti i campi della fotografia – dai reportage ai ritratti di artisti, dalla moda agli scatti di strada con particolare attenzione ai volti dei bambini, fino ai numerosi viaggi per il mondo – Sabine Weiss, che ha potuto partecipare attivamente alla costruzione di questo percorso espositivo, aveva aperto i suoi archivi personali, conservati a Parigi, per raccontare, per la prima volta in maniera ampia e strutturata, la sua straordinaria storia e il suo lavoro.
Gli scatti esposti, tra i quali diversi inediti – come la serie dedicata ai manicomi, realizzata durante l’inverno 1951-1952 in Francia nel dipartimento dello Cher, e rimasta parzialmente inedita fino ad oggi – ripercorrono insieme a diverse pubblicazioni e riviste dell’epoca l’intera carriera di Weiss, dagli esordi nel 1935 agli anni ’80. Fin dall’inizio, Sabine Weiss, come testimoniano in mostra le foto dei bambini e dei passanti, dirige il suo obiettivo sui corpi e sui gesti, immortalando emozioni e sentimenti, in linea con la fotografia umanista francese. È un approccio dal quale non si discosterà mai, come si evince dalle sue parole: «Per essere potente, una fotografia deve parlarci di un aspetto della condizione umana, farci sentire l’emozione che il fotografo ha provato di fronte al suo soggetto».
Oltre alle fotografie, in mostra verranno presentati anche alcuni estratti da film documentari a lei dedicati (La Chambre Noire del 1965; Sabine Weiss nel 2005; Il mio lavoro come fotografa del 2014) nei quali la fotografa ha raccontato, in diversi periodi della sua vita, il suo percorso artistico, le sue esperienze di viaggio e la difficoltà di essere una fotografa donna. La forza della sua curiosità per il mondo e la sua gioia di vedere e documentare fanno di Sabine Weiss un simbolo di coraggio e di libertà per tutte le donne fotografe.
Henri Cartier-Bresson. Cina 1948-49/1958. Milano. MUDEC Museo delle Culture. Fino al 3 luglio 2022.
La mostra è stata realizzata grazie alla collaborazione della Fondazione Henri Cartier-Bresson e riunisce un eccezionale corpus di fotografie e documenti di archivio del fotoreporter francese: oltre 100 stampe originali insieme a pubblicazioni di riviste d’epoca, documenti e lettere provenienti dalla collezione della Fondazione HCB. Un excursus senza precedenti che racconta due momenti-chiave nella storia della Cina: la caduta del Kuomintang e l’istituzione del regime comunista (1948-1949) e il “Grande balzo in avanti” di Mao Zedong (1958). Un momento importante nella storia del fotogiornalismo mondiale, vissuto attraverso il personale approccio del maestro Cartier-Bresson, il quale per primo evidenzia – attraverso l’occhio del suo obiettivo – temi importanti del cambiamento nella storia contemporanea cinese, riuscendo a presentare al mondo occidentale anche aspetti tenuti nascosti dalla propaganda di regime come lo sfruttamento delle risorse umane e l’onnipresenza delle milizie.
Il 25 novembre 1948 la rivista “Life” commissiona a Henri Cartier-Bresson un reportage sugli “ultimi giorni di Pechino” prima dell’arrivo delle truppe di Mao. Il soggiorno, previsto di due settimane, durerà dieci mesi, principalmente nella zona di Shanghai. Cartier-Bresson documenterà la caduta di Nanchino, retta dal Kuomintang, e si troverà poi costretto a rimanere per quattro mesi a Shanghai, controllata dal Partito Comunista, per lasciare infine il Paese pochi giorni prima della proclamazione della Repubblica Popolare Cinese (1° ottobre 1949).
Uno stile unico in grado di cogliere l’immediatezza e la veridicità dell’«Istante decisivo». In questa prospettiva l’uso del bianco e nero nelle sue fotografie gli permette di evidenziare la forma e la sostanza della realtà. Ogni suo scatto è così in grado di cogliere la contemporaneità delle cose e della vita.
Robert Doisneau al Centro Saint-Bénin di Aosta. Aosta. Centro Saint-Bénin. Fino al 22 maggio 2022.
“Le selezionatissime immagini che il curatore Gabriel Bauret ha scelto per questa mostra – rivela la Dirigente delle Attività espositive Daria Jorioz – provengono dall’Atelier Doisneau di Montrouge, nel sud della capitale francese. Sono immagini empatiche che avvicinano l’osservatore, lo rendono partecipe e non solo spettatore. Robert Doisneau incarna l’immagine del fotografo umanista immerso nella vita della sua città: ne coglie il respiro, le emozioni, le trasformazioni sociali, ne narra la bellezza, le contraddizioni, le storie minime che ne compongono la storia collettiva. Il fotografo francese cresce insieme alla sua città, la osserva prendendo appunti visivi, la racconta cominciando dalla strada, si specchia nei giochi dei bambini che inventano il loro mondo, narra la condizione a volte ruvida degli adulti. Lo fa sempre con delicatezza e garbo, talvolta con malinconia, spesso con un’ironia sottilmente dissimulata oppure giocosamente evidente.”
Tra le opere in mostra non poteva mancare Le Baiser de l’Hôtel de Ville, Paris, 1950, immagine celebre e iconica, ritenuta tra le più riprodotte al mondo. In questo suo celebre scatto Doisneau ha saputo catturare un momento magico e un’emozione che sono universali. A Montrouge, Doisneau ha sviluppato e archiviato le sue immagini per oltre cinquant’anni, ed è lì che si è spento nel 1994, lasciando un’eredità di quasi 450.000 negativi. Dallo stesso atelier, oggi le sue due figlie contribuiscono alla diffusione e alla divulgazione della sua opera, accogliendo le continue richieste di musei, festival e case editrici.
Pas besoin d’un dessin. Ginevra. Musée d’Art et d’Histoire. Fino al 19 giugno 2022.
Pour sa seconde exposition carte blanche, le Musée d’art et d’histoire a convié Jean-Hubert Martin, célèbre auteur d’expositions qui a marqué le champ de l’art depuis plus de quatre décennies, à poser un oeil neuf sur sa collection. En plongeant dans les fonds du MAH, ce grand historien d’art et homme de musée nous entraîne avec lui dans une promenade. Au travers de plus de 500 oeuvres empruntées à tous les domaines artistiques et historiques, le public est incité à observer, à ressentir et à s’approprier ce qui est notre trésor commun, à savoir cette fascinante diversité de la collection. Par jeu, basculement ou effet d’analogie, certaines oeuvres phares et connues du musée dialoguent d’une manière simple et décomplexée avec des objets singuliers ayant parfois échappé à notre attention. Le parcours nous redonne confiance en notre force émotionnelle. Le musée se dévoile sous un nouveau jour et devient le théâtre de nos désirs.
Van Gogh. Self-Portraits. Londra. Courtauld Gallery. Fino all’8 maggio 2022.
Questa piccola ma straordinaria galleria d’arte, nel complesso della maestosa Somerset House della capitale britannica, ha infatti riunito, per la prima volta dopo decenni, i più potenti e ipnotici autoritratti di Van Gogh, che permettono di tuffarsi nell’anima del pittore. Per Van Gogh, gli autoritratti erano una delle forme più alte di arte, un universo esplorativo, nonché una necessità, soprattutto quando era rinchiuso in clinica senza altri soggetti disponibili. Ma erano anche una ardua costruzione della propria identità.
CINÉMA
Notre-Dame in fiamme (Notre-Dame brûle). Un film di Jean-Jacques Annaud. Con Samuel Labarthe, Jérémie Laheurte, Daniel Horn, Elodie Navarre, Maximilien Seweryn. Uscita al cinema dal 28 marzo e su Sky Cinema dal 15 aprile 2022.
Jean-Jacques Annaud torna al cinema con questo racconto realistico dell’incendio che ha scioccato la Francia e il mondo.
Nel tardo pomeriggio del 15 aprile 2019 un incendio divampa nella cattedrale parigina di Notre-Dame. Vengono subito fatti evacuare i civili intenti ad ascoltare la messa, e anche i visitatori giunti da tutto il mondo per ammirare la bellezza dell’imponente cattedrale francese. In Notre Dame in fiamme Jean-Jacques Annaud ricostruisce i terribili attimi di quel giorno: si sofferma su chi da fuori osserva inerme l’incendio divampare, testimoniando con riprese dal cellulare e intonando canti e preghiere, ma soprattutto segue le eroiche gesta dei pompieri che hanno rischiato la vita per salvare uno dei simboli più importanti di Parigi; una cattedrale che sta in piedi da 8 secoli e che contiene al suo interno opere d’arte dal valore inestimabile.
Un altro mondo (Un autre monde). Un film di Stéphane Brizé. Con Vincent Lindon, Sandrine Kiberlain, Anthony Bajon, Marie Drucker. Uscita 1 aprile 2022.
Philippe Lemesle dirige nella provincia francese un’azienda di elettrodomestici appartenente a un gruppo internazionale. Per far fronte alla concorrenza, all’ennesima crisi e alle esigenze dei suoi superiori, che vorrebbero sul tavolo un piano di licenziamento impossibile da attuare, manda a rotoli la sua vita. La moglie, trascurata, vuole il divorzio, il figlio, ossessivo compulsivo, ha bisogno di cure psichiatriche. Tirato da ogni parte, Philippe non sa più come soddisfare gli affetti e assolvere i doveri. Tra incudine e martello, dovrà decidere se eseguire il piano di mobilità o trovare una maniera di aggirare l’obbligo. Dovrà decidere se adeguarsi o fare la differenza. Di nuovo in guerra, di nuovo al fianco di Vincent Lindon, questa volta accomodato alla scrivania e dall’altra parte della barricata, Stéphane Brizé evoca il reale con la potenza drammaturgica del cinema. Il film non ha l’aria di un dibattito ma di una guerra. Piantato in una terra di nessuno senza più parole e senso dell’altro, il personaggio di Vincent Lindon incarna una crisi intima e mette in evidenza le ferite che provoca la logica del capitalismo, le cicatrici che lascia, anche sull’avversario. Fa provare fisicamente quel calvario, prendendo le misure dell’indifferente crudeltà del sistema e di una società che si accomoda su quella tragedia. E di quella tragedia, il regista ascolta le parti in causa, gli uomini e le donne, le vittime e i carnefici, i pro e i contro.
Tra due mondi (Ouistreham). Un film di Emmanuel Carrère. Con Juliette Binoche, Hélène Lambert, Léa Carne, Emily Madeleine. Uscita 7 aprile 2022.
Juliette Binoche è Marianne Winckler, scrittrice che per indagare il lavoro precario decide di farsi assumere, sotto falsa identità, come addetta alla pulizia sui traghetti che attraversano la Manica e portano in Gran Bretagna. Conoscerà così le condizioni spesso umilianti e i ritmi di lavoro massacranti cui sono sottoposte queste donne (interpretate nel film da vere addette alle pulizie) e inizierà pian piano a diventare loro amica, stringendo un legame particolare con Christelle, madre single che non molla mai.
Lo scrittore e regista Emmanuel Carrère ha tratto la sceneggiatura dal racconto autobiografico Le Quai de Ouistreham scritto dalla giornalista Florence Aubenas, e invece di trarne un documentario l’ha trasformato in un’opera di finzione che affronta temi di grande attualità: la disoccupazione, la crisi economica, l’assenza di servizi sociali adeguati, il precariato, lo sfruttamento nei luoghi di lavoro. Va premiato il coraggio di Emmanuel Carrère, che trova dalla sua parte la protagonista Juliette Binoche, fondamentale fin dai primi approcci con Aubenas nel portare il progetto sul grande schermo, e un cast di non attori fra cui spicca la formidabile interprete del personaggio di Christelle (Hélène Lambert).
Gli amori di Suzanna Andler (Suzanna Andler). Un film di Benoît Jacquot. Con Charlotte Gainsbourg, Niels Schneider, Nathan Willcocks, Julia Roy. Uscita 14 aprile 2022.
Dall’omonimo testo teatrale di Marguerite Duras del 1968.
Saint-Tropez d’inverno. Dentro una villa disabitata, Suzanna Andler esita tra suo marito e il suo amante. Parigina, nascosta dietro la sua classe e la sua fortuna, Suzanna ha sposato anni prima Jean Andler, gran borghese ricco e infedele. Oggi è intrappolata in un matrimonio agiato e deve scegliere tra una vita di moglie e di madre, governata dalle convenzioni, e un’esistenza libera ma più rischiosa, incarnata dal suo giovane e squattrinato amante. Alla ricerca di un’impossibile emancipazione, Suzanna Andler parla a mezza voce, dice delle verità, le sue che non sono sempre le stesse e inciampano nelle bugie. Pronunciate per paura o come un riflesso vitale mentre il sole tramonta sul Mediterraneo e sugli amanti riuniti che sembrano già mancarsi. Non piaceva a Marguerite Duras questa pièce quasi sconosciuta, scritta nel 1968 e rappresentata fugacemente nel 1969. Suzanna Andler è sempre piaciuta invece a Benoît Jacquot, che decide di adattarla per lo schermo, sublimando il testo e Charlotte Gainsbourg. Il risultato è un uragano lento che travolge una grande villa sul mare, lasciando entrare la sua aria densa, il richiamo acuto dei gabbiani e la luce del cielo. L’edificio maestoso non fa mai dimenticare il testo, un poema a quattro voci (Suzanna, l’amante, il marito e l’amica), un’architettura asciutta, precisa nelle indicazioni sceniche come negli incessanti slittamenti delle parole che i personaggi pronunciano per dire ciò che fanno e ciò che provano. Soprattutto Suzanna, sopravvissuta alle fughe del marito pluri-fedifrago e distante.
Inganno (Tromperie). Un film di Arnaud Desplechin. Con Léa Seydoux, Emmanuelle Devos, Miglen Mirtchev, Denis Podalydès. Uscita 21 aprile 2022.
Arnaud Desplechin adatta Philip Roth e fa un film luminoso e galvanizzante. Philip, scrittore americano a Londra, dialoga con le donne della sua vita, in particolare con la sua amante, inglese, intelligente, colta e compromessa da un matrimonio a cui a soli trentacinque anni, si è già rassegnata. Da mesi abdica il talamo nuziale per fare l’amore, parlare e discutere (molto) solo con lei, nutrendo di parole il suo insaziabile appetito di scrittore. Amanti, spose, amiche rifugiate o terminali, studentesse bipolari, parlano tutte attraverso la voce di Philip, perfino in sogno. Nessun filo conduttore lega queste conversazioni se non l’eco lancinante delle ossessioni del suo autore, il sesso, l’adulterio, la fedeltà, l’antisemitismo, la letteratura. Feticista delle parole, Philip è in ascolto assoluto delle donne che lo circondano.
Generazione low cost (Rien à foutre). Un film di Julie Lecoustre, Emmanuel Marre. Con Adèle Exarchopoulos, Jonathon Sawdon, Jean-Benoît Ugeux, Mara Taquin. Uscita 28 aprile 2022.
La prima regia nel lungometraggio per il duo formato dai francesi Julie Lecoustre ed Emmanuel Marre è uno spaccato di vita contemporanea su un soggetto originale. L’esistenza sospesa di una generazione di assistenti di volo, e in particolare nel tritacarne delle linee low-cost, viene raccontata dagli autori con dovizia di particolari, mettendo in fila ogni dettaglio al fine di trasmettere allo spettatore tutte le sfaccettature tediose e vuote di questa vita. In un registro che è per scelta piatto e ripetitivo, dal taglio quasi documentaristico, Adèle Exarchopoulos nel ruolo della protagonista è un’iniezione di star power, una presenza magnetica che aiuta a non perdersi nel senso di straniamento evocato dalla storia. La sua Cassandre è una ragazza ormeggiata in un porto lontano, il cui senso di provvisorietà si calcifica in uno scorrere insostenibile. Un ritratto generazionale che si applica agli scenari contemporanei della gig economy ma che in realtà la precede, visto che il mito degli spostamenti low-cost in giro per l’Europa catturava le menti dei più giovani già un paio di decenni fa.
Gli amori di Anaïs (Les amours d’Anaïs). Un film di Charline Bourgeois-Tacquet. Con Anaïs Demoustier, Valeria Bruni Tedeschi, Denis Podalydès, Jean-Charles Clichet. Uscita 28 aprile 2022.
Un film tutto di scrittura e recitazione, con lo charme travolgente di Anais Demoustier.
Che cosa vuole davvero Anaïs? Vuole vivere pienamente, intensamente. Vuole l’amore: magari, rubandolo. Un film sapientemente sospeso fra leggerezza, dolore e desideri. La prima cosa che salta agli occhi, nel film, è questa figura leggera, da nouvelle vague, attorno a cui sembra avvitarsi tutta l’opera, come se inseguisse i suoi movimenti – i primi piani sequenza, vertiginosi – le sue indecisioni, le sue bugie, il suo potere di sedurre chiunque con un vestitino da tre soldi, le gambe nude, e un talento per dribblare ogni domanda. Equilibrato fra commedia – a un certo punto c’è anche un lèmure in overdose – dramma e viaggio sentimentale, Gli amori di Anaïs è un film tutto di scrittura e di recitazione. La regia ti fa essere lì, e quando è necessario ti fa anche sentire – con alcuni primissimi piani – la delicatezza della pelle di Anais, il rossore sul collo di Bruni Tedeschi. Ma per la maggior parte del tempo ti fa « essere lì », ed è ciò che conta. La musica, firmata da un fuoriclasse come Nicola Piovani, non invade: per apparire magari prepotente all’interno del racconto, quando Valeria Bruni Tedeschi e Anaïs Demoustier ballano, in una luce di crepuscolo in cui ogni equilibrio sembra più fragile, sulle note rauche di Bette Davis Eyes di Bonnie Tyler.
Arthur Rambo – Il blogger maledetto (Arthur Rambo). Un film di Laurent Cantet. Con Rabah Nait Oufella, Bilel Chegrani, Antoine Reinartz, Sofian Khammes. Uscita 28 aprile 2022.
Karim D. è il fenomeno del momento: un giovane romanziere alla moda che viene dalla banlieue, simbolo della Francia multiculturale e icona dell’antirazzismo. Nonostante sia coccolato e protetto da giornali e televisioni, Karim finisce in un tritacarne mediatico quando qualcuno riesuma vecchi tweet antisemiti, omofobi e misogini che ha postato con lo pseudonimo di Arthur Rambo. Ispirato al caso di Mehdi Meklat, l’ottavo lungometraggio di Cantet affronta la questione dell’identità fornendo un’implacabile testimonianza della violenza dei meccanismi dei social.